La Comunità di Bose ha diffuso un breve comunicato nel quale rende nota la decisione di Enzo Bianchi di lasciare il monastero da lui fondato nel 1965. La risoluzione fa seguito al decreto della Segreteria di Stato vaticana del 13 maggio, firmata dal cardinale Parolin, che stabiliva l’allontanamento da Bose suo e di altri tre confratelli per cinque anni. Questo a causa dei dissapori sorti all’interno della comunità a seguito della successione a Enzo Bianchi stesso di Luciano Manicardi nella carica di priore, per valutare i quali durante le festività natalizie è stata effettuata una visita apostolica.
Il comunicato del monastero specifica che “a partire dai prossimi giorni, dunque, per il tempo indicato nelle disposizioni, essi vivranno come fratelli e sorella della Comunità in luoghi distinti da Bose e dalle sue Fraternità”. Chiede poi agli amici e ai frequentatori del monastero “Pregate per ciascuno di noi, e per la Comunità nel suo insieme, perché possa proseguire nel solco del suo carisma fondativo”.
Per parte sua Enzo Bianchi ha postato un tweet nel quale scrive “Giunge l’ora in cui solo il silenzio può esprimere la verità, perché la verità va ascoltata nella sua nudità e sulla croce che è il suo trono. Gesù per dire la verità di fronte a Erode ha fatto silenzio. “Jesus autem tacebat!” sta scritto nel Vangelo”.
Non si conoscono i dettagli della vicenda che ha portato a una decisione di estrema gravità in relazione a una figura di primo piano del cattolicesimo non solo italiano, come Enzo Bianchi, e a un luogo di spiritualità ed ecumenismo qual è il monastero di Bose, frequentato dalle maggiori personalità di tutta la cristianità, dai patriarchi della Chiesa Ortodossa ai vertici delle Chiese luterane e riformate, all’arcivescovo di Canterboury.
La riservatezza dimostrata da tutti gli interlocutori ha impedito che attorno a un pur profondo contrasto nascesse la ridda di voci che avrebbe potuto sollevare una contesa attorno a una decisione così incisiva di papa Francesco, che ha esplicitamente approvato il decreto.
A questo riguardo si può dire che ancora una volta Enzo Bianchi è riuscito a esprimere un pensiero profetico in relazione a un evento che pure lo riguarda in maniera lacerante, dato che va a sconvolgere non solo la sua esperienza di religioso ma la sua intera quotidianità, allontanandolo dopo 55 anni dal luogo nel quale ha passato la vita intera e dove si preparava a trascorrere gli ultimi anni.
Nel suo tweet il legame tra verità e silenzio, in apparenza un ossimoro, una contraddizione in termini, poiché secondo la convinzione comune la verità deve essere pubblica, gridata, esposta, e non ha importanza quanto questo comporti di impudicizia e di svelamento di ciò che è personale e riservato. Bianchi invece, ricordando il silenzio di Gesù davanti a Erode che lo interroga non per conoscere la verità ma alla ricerca della spettacolarità del miracoloso, mette in evidenza la necessità della riservatezza, del rispetto, del sacrificio come componenti di una verità che non è il disvelamento, come nella tradizione del pensiero greco, quanto il rapporto, il riconoscimento reciproco, la comprensione, quali sono rappresentate nella spiritualità ebraica e biblica, per la quale fedeltà e verità tendono a coincidere.
Perciò nella rottura, nell’impossibilità di una ricomposizione immediata, nella quale pure qualcuno aveva sperato e per la quale aveva lavorato, la ricerca della verità attraverso il silenzio, l’ammissione della propria parte di responsabilità che nell’essere incarnato non manca mai e deve precedere l’analisi e l’esibizione compulsiva delle colpe altrui, ha la capacità di aprire alla speranza, a un domani luminoso. Non alla ricostruzione integra di ciò che preesisteva, il passato non ritorna, ma alla creazione di una forma nuova, altrettanto e più significativa. Quando un vaso di pregio si rompe, i giapponesi lo riparano con la tecnica detta kintsug: i pezzi sono ricomposti e le fratture raccordate con oro fuso, così da rendere l’oggetto ancor più prezioso.
Sergio Valzania