La Bibbia questa sconosciuta?

Il fascino del testo sacro alla base di un caso editoriale che interroga

Di recente Massimo Cacciari ha sostenuto in televisione, con la consueta foga, l’opportunità di introdurre in Italia lo studio approfondito della Bibbia, da sviluppare a livello di scuole medie. Altrimenti “l’ignoranza è totale e vergognosa” e “all’Università quando chiedi a uno studente chi è stato Gesù Cristo ti senti rispondere, nel migliore dei casi: l’autore dei Vangeli”.

Il rapporto tra le Sacre Scritture e il popolo di Dio non è stato sempre semplice e lineare nell’esperienza del cattolicesimo. La Riforma ha suscitato un timore mai spento nei confronti di un rapporto con i testi biblici sì intenso e personale, ma isolato e vissuto senza la mediazione della tradizione apostolica e della vita comunitaria all’interno della Chiesa.

Nel suo intervento Cacciari condanna senza mezzi termini quello che definisce il “culturame” che immagina di affidare la trasmissione della conoscenza relativa a elementi portanti della nostra cultura, sui quali si basa “tutta la nostra civiltà”, a un “calderone” nel quale si dovrebbero mescolare le storie della Bibbia con saghe, miti, leggende e narrazioni provenienti da società anche lontane dalla nostra, creando più confusione che sapere.

Un caso letterario recente induce a riflettere sul diffuso desiderio di conoscenza esistente nel nostro paese in relazione ai testi sacri: Il Dio dei nostri padri, il grande romanzo della Bibbia, di Aldo Cazzullo, edito da HarperCollins, è stato il libro più venduto del 2024 e nelle prime settimane del 2025 si trova ancora nelle posizioni di testa delle classifiche.

Molte sono le ragioni del successo del libro.

In nessun modo si deve però sottovalutare il richiamo dovuto all’argomento trattato, in maniera attenta e ordinata. In buona sostanza Il Dio dei nostri padri è il racconto fedele di quanto narrato nei libri storici della Bibbia, dalla Genesi al regno di Salomone, e alla divisione di esso che segue la sua morte, accompagnato da una serie di commenti e di riflessioni illuminanti e spesso condivisibili, sempre attente a non divagare troppo e a mantenere in primo piano le vicende del creato fino ad Abramo e poi del popolo ebraico nella sua conquista della Terra Promessa. I capitoli conclusivi sono dedicati a una sorta di recupero di alcune storie rimaste escluse dalla sequenza cronologica.

Cazzullo avverte che il libro “non ha alcuna pretesa di esaurire la Bibbia, semmai può far venire la voglia di leggerla per intero”. L’intero Nuovo Testamento rimane fuori dal racconto, anche se non mancano puntuali interpretazioni cristologiche di passaggi chiave della narrazione veterotestamentaria. Si può immaginare che l’accoglienza da parte del pubblico delle vicende dei profeti e dei patriarchi costituisca un viatico non indifferente per una prossima presentazione accattivante della vicenda terrena di Gesù e degli apostoli, e forse per una riproposizione delle Lettere e dell’Apocalisse.

La questione di fondo, collegata al soggetto del volume, rimane la collocazione di questo successo editoriale in un paese che secondo molti si sta allontanando dalla fede, dal cattolicesimo e dalla religione in genere. Le statistiche segnalano una disaffezione rispetto alla frequentazione delle liturgie e anche all’accostarsi ad alcuni sacramenti, in particolare penitenza e matrimonio; scarseggiano le vocazioni e in quasi tutte le diocesi le parrocchie vengono accorpate; molte chiese rimangono a lungo chiuse; l’insegnamento della religione a scuola viene messo in discussione; c’è chi parla di scristianizzazione della società italiana, a rimorchio di un processo analogo e addirittura più violento che starebbe maturando in tutta Europa.

Segnali in questa direzione certamente ci sono, ma questo non fa che rendere più difficile da comprendere il successo ottenuto da Il Dio dei nostri padri nonché il mancato dibattito che c’è stato per un così particolare evento letterario. È insolito che sia un saggio e non un romanzo a risultare il libro più venduto dell’anno in assoluto, che poi si tratti di un testo dedicato a proporre il testo fondamentale della religione praticata in Italia da quasi duemila anni a un pubblico che le ricerche sociologiche sembrerebbero indicare come sempre più lontano da essa dovrebbe farne l’oggetto di una riflessione larga e approfondita. Invece l’ambiente intellettuale italiano è sembrato rimanere del tutto indifferente all’accaduto.

Michelangelo Buonarroti, «Creazione di Adamo» (1511)

Michelangelo Buonarroti, «Creazione di Adamo» (1511)

Ancor più sorprendente è che questo genere di attenzione, questa curiosità per un avvenimento imprevisto, non sia diffusa neppure in ambito ecclesiale, fra quelli che si potrebbero considerare gli addetti ai lavori, che si occupano di pastorale e di catechesi, di trasmettere la parola di Dio nel modo più semplice e diretto possibile, nel più adatto agli interlocutori.

Né si deve credere che il libro di Cazzullo provenga da un ambiente lontano dalla Chiesa. Per alcuni aspetti è cresciuto, se non nato, al suo interno. I ringraziamenti finali sono rivolti a due cardinali prestigiosi come Matteo Zuppi e Gianfranco Ravasi. Del secondo, alle opere del quale l’autore fa più volte riferimento nel testo, si dice che ha fornito preziosi consigli per la sua redazione, con la umile segnalazione del fatto che essi sono stati tutti seguiti. Prima di raccontare, seppure di sfuggita, della pazienza di Giobbe, Cazzullo scrive “Gerusalemme sarà un giorno il luogo di riconciliazione per tutti i popoli della terra. Quel giorno purtroppo non è oggi. Ma è un miracolo che Dio ha promesso. E lo farà”.

Esiste una evidente difficoltà nel collocare Il Dio dei nostri padri nel contesto di una rivisitazione comune di conoscenze che avvolgono il fatto religioso, che sono prodromiche al riconoscimento dell’evento della fede; un passaggio non esaustivo, ma necessario e che appartiene all’ambito proprio del rapporto con il sacro, con il trascendente, l’opacità del quale individua uno dei problemi della contemporaneità.

Nelle moderne società avanzate esiste una diffusa paura di credere, di affidarsi. Il timore di abbandonarsi a una consapevolezza nella quale si scorge il rischio di una richiesta forte di comportamenti divergenti e impegnativi. Nello stesso tempo rimane viva la curiosità nei confronti del sacro, o almeno circola un’inquietudine insoddisfatta. Restare sul bordo della piscina senza bagnarsi mantiene al sicuro, ma non appaga. A costringere fuori dall’acqua è il timore di non saper nuotare, domandandosi quanto essa sia profonda e vergognandosi di chiedere un sostegno al quale aggrapparsi per effettuare almeno una prima immersione.

La religiosità biblica rimane quindi una presenza forte nel perimetro della curiosità sociale, ma le viene concesso di esprimersi solo in quanto il gesto fideistico non venga esplicitato completamente. La sua esistenza è accettata purché non manifesti in modo compiuto e definitivo la propria natura profonda, che rimanga uno spazio inespresso, contenuto nella dimensione narrativa, al più storicizzato. In ogni caso mediato.

Il titolo stesso del libro di Cazzullo, con il riferimento alla religiosità dei padri, dichiara questa situazione di desiderio di conoscenza accompagnato dalla non compromissione, dal mantenimento di una distanza. Si tratta della condizione non risolta della modernità, alla base della quale sta il senso di colpa per l’utilizzo banalizzato che viene fatto del tempo e della libertà dal bisogno che la tecnologia ha conquistato per la donna e l’uomo contemporanei.

Anche per questo viene accolto con grande curiosità il libro Cazzullo che affronta la vicenda del Dio anticotestamentario e non quella del Cristo del Vangelo, con la sua chiamata diretta e potente rivolta a ciascuno, difficile da addomesticare e ridurre a una narrazione lontana nel tempo, tanto da manifestare un qualche sentore di mitologico. Proprio la modalità di accostarsi al sacro che Gesù ha messo in crisi e che non può ripresentarsi se non a rischio di un tragico rifiuto. Attorno a questa tensione tra consapevolezza del bisogno diffuso di una religiosità matura e fuga verso una forma infantile di agnosticismo disimpegnato il successo del Il Dio dei nostri padri dovrebbe costituire occasione di riflessione.

L’OSSERVATORE ROMANO, pagina 11
lunedì 24 febbraio 2025