I quotidiani titolano “Il governo tratta con la CEI”. Forse sulla legislazione relativa all’immigrazione? Sulla questione dei carcerati contagiati dal covid? Sugli articoli del codice civile che si occupano del diritto di famiglia? Sulla limitazione della sperimentazione biologica? Non proprio.
Certo è un bel problema, occorre decidere consensualmente per non provocare tensioni se anticipare di due ore la messa di Natale, autorizzare la partecipazione con apposita autodichiarazione o proibirla tout court considerandola una palese violazione del coprifuoco imposto a partire dalle 22. Si potrebbe fare un’eccezione per la nascita del Bambinello, ma i laici chiederebbero allora un trattamento analogo per l’anno nuovo e dal punto di vista della pandemia i veglioni di capodanno risultano più pericolosi delle messe natalizie.
Su questi temi si stanno esprimendo ministri, sottosegretari, dirigenti di partito, vescovi e prelati, a certificare che i caratteri dei nostri tempi sono quelli della comunicazione vuota e generalizzata e della dimenticanza del passato in ogni sua forma. Sono trascorsi appena sei mesi dalla riapertura delle chiese alle liturgie, dopo una stagione di risvegli anticipati per assistere alla messa di Santa Marta su Raiuno e TV2000, neppure otto mesi dalla via crucis in solitaria di papa Francesco e già tutto quello che riguarda il lock down primaverile è dimenticato, rimosso, cancellato dalla memoria.
Un DPCM ha proibito a partire dal 9 marzo di quest’anno, in pratica ieri, la celebrazione di ogni rito religioso collettivo in Italia per una decina di settimane – evento unico nella storia del nostro paese, senza che nessuno delle gerarchia ecclesiastica abbia protestato – e adesso si sviluppa un dibattito politico al quale partecipano i vertici del governo per decidere se anticipare di due ore una messa, cambiamento d’orario che nella prassi di alcune parrocchie già si verifica per problemi di età del parroco e dei fedeli.
La manifestazione di scarsa religiosità della società si realizza nel mescolare tutto quello che riguarda le festività di dicembre facendo d’ogn’erba un fascio, come si diceva una volta. Settimane bianche, regali, veglioni, riunioni di famiglia, celebrazioni religiose, trasferimenti nelle seconde case, shopping, black friday , tutto si confonde davanti agli occhi dei cittadini. Ma lo fa perché è già confuso nella mente dei governanti. Personalità di rilievo hanno avanzato l’ipotesi di un Natale più spirituale per combattere il contagio.
È davvero sorprendente che qualcuno pensi in buona fede che l’anticipo di due ore della messa di Natale costituisca un problema in un paese con le scuole chiuse, gli ospedali semi paralizzati dal covid con i reparti oncologici quasi chiusi, una media giornaliera di vittime della pandemia superiore alle settecento, una crisi economica che costringe a un indebitamento da anni Ottanta, senza impedire il collasso del settore alberghiero e turistico in generale, mentre il commercio boccheggia e si ipotizza una chiusura delle frontiere per impedire agli sciatori di fare all’estero quello che si vuole proibire da noi.
La richiesta di anticipazione va avanzata nella forma dovuta per la cortesia istituzionale a cui i vertici delle chiese italiane hanno diritto, ma non esiste alcuna ipotesi di un disaccordo, né il problema merita una valutazione politica.
Diversa, e più preoccupante, è la questione della comunicazione, di quella politica in particolare. L’intero ambiente dimostra di considerare la visibilità un bene prezioso per conquistare il quale è necessaria velocità di reazione piuttosto che sensatezza. Questo atteggiamento comporta il rischio di cancellare ogni scala di valori, spinge a occuparsi dell’ultima sollecitazione invece che dei problemi importanti; di ciò che si immagina possa tornare utile a valorizzare la propria immagine, ad azzeccare una battuta felice, piuttosto che di quello che risulta produttivo per la comunità. Apparire invece di governare. E di questi tempi di governo ci sarebbe bisogno.
Sergio Valzania