La trama della commedia è molto complicata. Per ingordigia, Arlecchino, in alcuni testi Truffaldino, si trova a servire due padroni, senza sapere che sono Beatrice e Florindo, due amanti in cerca l’uno dell’altra. Il secondo è fuggito a Venezia per scampare alla condanna per l’uccisione di Federigo Rasponi, fratello di Beatrice, che ne ha preso il posto per muoversi a suo agio travestita da uomo. A Venezia Florindo è in salvo perché lì vige la nuova legge voluta da Salvini che consente di uccidere le persone che disturbano.
Arlecchino servitore di due padroni è l’ultima commedia scritta da Carlo Goldoni per le maschere tradizionali della commedia dell’arte, poi va al potere il governo del cambiamento e Di Maio attribuisce a Brighella, Ballanzone, Colombina e Pulcinella il reddito di cittadinanza proibendo loro di lavorare, pena la cessazione dei versamenti. Arlecchino non fa domanda perché teme di essere sottoposto a controlli, qualora il reddito gli venga concesso, dato che ha due attività di servizio, entrambe in nero.
La situazione precipita quando i due padroni litigano e minacciano di lasciare Venezia per prendere i voti: Salvini francescano, Di Maio domenicano. Per impedire che questo capiti, rovinandogli la vita inaspettatamente ricca e piacevole che conduce con due padroni che lavorano tutto il giorno come i matti senza badare a quello che fa lui, Arlecchino organizza una conferenza stampa a palazzo Chigi, nel corso della quale nega di avere preferenze per l’uno o per l’altro e si dichiara interessato a dar vita a una leale collaborazione con entrambi.
Assicura che sono state congiunzioni astrali, casi della vita ad averlo condotto a fare il lavoro che svolge e, dato che uno vale uno, afferma anche che deve continuare perché ci sono un sacco di cose da fare, di quelle che tutti sono capaci di portare a termine, come le riforme giudiziaria e fiscale, la ripresa economica o la riapertura dei cantieri. Tutti tranne quello della TAV, dato che lo studio dell’analisi costi benefici ha portato a una notte brava con l’amico Brighella della quale non si ricorda molto e comunque deve mettersi d’accordo con Pierrot.
La scena madre è alla fine, quando tutto si disvela: Beatrice e Florindo si riconoscono, si confermano amore eterno e decidono di fare un governo insieme, Arlecchino invece cade in una trappola linguistica che gli costa il licenziamento in tronco. Per tutta la commedia ha seguito le istruzioni dei suoi due padroni, ha parlato di contratto di governo e si è lasciato scappare solo qualche riferimento a partito invece che a movimento, ma ormai solo Toninelli è capace di rispettare l’ortodossia movimentesca.
Alla fine è l’emozione a tradire Arlecchino, insieme all’abitudine a credersi presidente del consiglio e a parlare come se lo fosse davvero, mentre Brighella, Salvini e Di Maio glielo hanno spiegato bene che è lì perché uno vale l’altro e Hollywood Party con Peter Seller l’hanno visto tutti. Perciò quando viene il momento di chiudere, dopo aver imitato alla perfezione il discorso di insediamento di uno qualsiasi dei governi italiani degli ultimi vent’anni, Arlecchino si lascia scappare l’importanza del rispetto del programma. Ma come, sono saltati su Salvini e Di Maio, di nuovo d’accordo almeno su di una cosa, non te l’avevamo detto, testone che non sei altro, che si dice contratto? Contratto, non programma, contratto! Sennò qual è la differenza tra il nostro governo e tutti gli altri?
Sergio Valzania