Evito la messa delle dieci e mezzo, la domenica. È quella celebrata per le classi del catechismo. Ogni tanto mi capita andarci di necessità, per rispettare il precetto e insieme gli impegni che la famiglia e le amicizie propongono per la santificazione gioiosa della festa.
Poveri bambini!
Le omelie rivolte a loro incrudeliscono oltre misura. È facile capire come mai la larga maggioranza di loro diserta le celebrazioni non appena sbrigata la formalità dei sacramenti, che pare comporti il dono del primo telefonino. Ogni cultura ha i suoi riti di passaggio.
Qualche giorno fa, non dico dove, ho subito un’omelia implacabile, aperta dal sacerdote con la formula minacciosa “Il vangelo è stato lungo, spero di non essere troppo lungo io”.
Ma come speri?, sei tu che parli e decidi quanto. Papa Francesco si è raccomandato in ogni modo di non superare i cinque, sei minuti al massimo, per non trasformare la messa in una esibizione personale. Benedetto XVI era arrivato a domandarsi se non fosse il caso di girare un’altra volta l’altare, per arginare il protagonismo dei celebranti!
Mentre il sacerdote minacciava in questo modo i fedeli, alcuni suoi adepti hanno srotolato uno schermo sul quale presto sono comparse delle figure. Per un attimo ho sperato, quando l’immagine ha collocato la lettura del giorno all’interno dell’anno liturgico e della quaresima in particolare. Il celebrante aveva in mano una bacchetta con la quale indicava i punti salienti proposti dal tabellone illuminato. Forse aveva qualcosa da dire.
Mi ero illuso, ma si sa, la speranza è l’ultima dea. Anche per i cattolici romani.
Presto è cominciato il rito infingardo della ripetizione dei contenuti del vangelo, non in forma di riassunto quanto piuttosto di parafrasi stiracchiata e goffa. Di necessità, che il vangelo è quello e non aspetta di essere raccontato dal parroco. Una sorta di vendetta nei confronti di quanti si sono distratti durante la lettura della parola di Dio e ancora di più ai danni di chi la ha seguita con attenzione e viene costretto a riascoltare una storia che già conosceva bene e magari nella sua formulazione originale lo ha commosso di nuovo.
A corredo della riproposizione del testo evangelico, per spezzare le gambe ai più resistenti, essa viene corredata di una galassia di spunti di riflessione gettati lì alla rinfusa, che in quel contesto diventano per forza banalità difficili da sopportare per un adulto. Mi figuro i piccoli, che vivono in un tempo compresso rispetto al nostro e soffrono più di noi dello stare fermi, in silenzio, ad riascoltare diluita una storia appena sentita.
Alla fine l’omelia era durata dai 15 ai 20 minuti, con un tempo complessivo della celebrazione che ha superato l’ora. Per la prima volta da quando vado a messa ho sentito distintamente, tutti si sono voltati verso l’eroe, una voce che ha detto “Ancora?!” mentre il sacerdote, prima dell’”andate in pace”, dava l’ennesimo annuncio sulle attività parrocchiali.
Mi sono ricordato di un apologo, attribuito a una mezza dozzina di presidenti degli Stati Uniti. Al protagonista, presente a una ricorrenza, viene chiesto di intervenire. Di fronte al suo rifiuto gli viene detto che basta parli per cinque minuti. Lui replica. “per parlare cinque minuti mi devo preparare almeno due ore”. Lo stupito interlocutore domanda “e per parlare un minuto?”. “Per un minuto mi occorre almeno una giornata intera.” “E se dovesse andare a braccio, così, per tutto il tempo che crede?”
“Beh, allora posso cominciare anche subito”.
Insomma, parlare poco è difficile, perché occorre avere qualche cosa da dire. Tra l’altro si rischia di venire ascoltati con attenzione e se si macinano banalità scontate tutti se ne accorgono. Un’omelia dovrebbe essere preparata con cura, andando alla ricerca di qualcosa di raro da regalare, con amore cristiano, ai fedeli riuniti nel nome del Signore. Fedeli che la lettura del giorno la conoscono, che provano solo fastidio a sentirsela ripetere “con parole tue”, come si faceva a scuola, mentre sono pronti ad apprezzare un contributo vero e adulto al loro percorso di fede.
Di recente un vescovo mi ha detto che, siccome è bravo, lui fa sempre delle prediche di almeno trenta minuti.
Non ho saputo come commentare.
Sergio Valzania