A volte è importante concentrarsi su cosa si sta facendo. Domenica 4 dicembre si vota. Non si risponde a un quesito tecnico, non si gioca ai costituzionalisti. Si compie l’atto supremo, apicale dell’attività politica. Non si fornisce un parere, si decide.
L’atto politico è di per sé complesso. Non si esaurisce in una singola scelta. Piuttosto si irradia, si ripercuote, determina l’avvio o l’arresto di altri processi. Quindi sbagliavano i radicali che chiedevano lo spacchettamento dei quesiti, forse mal indirtizzati in questo dalle loro campagne plurireferendarie, peraltro fallite. Il gesto politico va colto nella sua completezza, e in essa giudicato. Non ammette frammentazioni.
Soprattutto quando si parla di Costituzione, e si va blaterando di equilibri e bilanciamenti, che appunto richiedono interventi complessivi per essere mantenuti. Del resto anche negli appartamenti quando si rifà il pavimento si imbiancano le pareti.
Come che si atteggi Renzi, questo referendum sarà un giudizio sul suo operato e sulla capacità dimostrata, insieme ai collaboratori che si è scelto, di dare risposte a quanti lo hanno portato alla presidenza del consiglio. Ma soprattutto sulle prospettive future della sua coalizione. L’occasione referendaria è una scusa. In passato ciascuno dei sostenitori del no, D’Alema in testa, ha dichiarato che era necessario superare il bicameralismo e che bisogna ridefinire in modo corretto le competenze delle regioni. Questo non toglie che sia legittimo, se non proprio corretto, cercare la battaglia là dove si spera di vincerla.
Allora come decidere, se tutto è complesso, se il voto porta a conseguenze che eccedono di molto i confini dei quesiti indicati sulla scheda, fino a coinvolgere l’assetto politico del paese per qualche anno almeno da qui in avvenire.
“Renzi o non Renzi” sarebbe una scelta di basso profilo. Basata sulla simpatia, o l’antipatia, umana. Del suo governo e del modo di governare che lo caratterizza si può dir tutto. Persino considerare insufficiente il dinamismo che pure ha tentato di imprimere alla capacità della macchina legiferante italiana di produrre decisioni.
Dovendo suggerire un criterio di semplificazione utile a scegliere, mi sento di proporre uno dei temi maggiori dell’attualità politica. Quello che maggiormente condizionerà il nostro futuro nazionale. Mi riferisco alla risposta fornita dall’Italia alle problematiche che sorgono dai fenomeni di migrazione di massa che sono in atto.
Il pregio di questo punto di vista consiste nella sua radicalità. Gli elementi in gioco sono chiari. Molto meno le risposte possibili. Il 6 giugno 1944, nel corso dello sbarco in Normandia, il più grande e celebrato di tutti i tempi, gli alleati ebbero 2.500 caduti. Soldati che combattevano per il loro paese. Nel solo 2015 i morti in mare fra i migranti che tentavano di attraversare il Mediterraneo sono stati 3.200, fra i quali 700 bambini e quasi 2.000 donne.
Appurato che il referendum del 4 dicembre è un fatto politico mi permetto di metterlo a confronto con quello che succede davanti alle nostre coste e di pormi qualche domanda. Dal punto di vista dei migranti, delle loro vite prima ancora che della loro qualità, l’affermazione in Italia di un fronte che comprende Brunetta e Salvini, Meloni e Grillo rappresenterebbe un bene o un male? Se fossero chiamati loro a votare, come si comporterebbero?
La questione non è affatto pellegrina, anzi è centrale, per almeno due ragioni, una etica e una politica. Innanzitutto riconduce ciascuno alle sue responsabilità. Chi ha richiesto misure dure nei confronti dei migranti, cavalcando egoismi insensati dato che alla fine sono proprio i lavoratori stranieri che pagano le nostre pensioni, non può rinnegare semplicemente il proprio passato recente. In politica tutto si tiene. Anche la decisione di una parte della sinistra di dare un calcio al tavolo pur di non accettare l’evidenza banale della fine della loro stagione di partecipazione personale al potere.
Penso che nessuno creda in buona fede che un qualsiasi possibile governo italiano diverso dall’attuale avrebbe per i migranti un’attenzione maggiore di quella offerta oggi. Leghisti, destre estreme e cinquestellati una volta vincitori esigerebbero cambiamenti anche notevoli nell’atteggiamento italiano, tutti penalizzanti per i migranti. Non vivrebbero più scomodi, morirebbero più numerosi.
Dal punto di vista costituzionale è importante ribadire che il rinvio di decisioni di centrale rilievo al voto popolare non è in nessun modo un abbassamento o una volgarizzazione del livello decisionale. La democrazia si fonda sulla fiducia nel fatto che il giudizio politico della comunità sia migliore di quello proveniente da una qualsiasi altra fonte.
Sul piano etico questo è di tutta evidenza e il 4 dicembre l’Italia è chiamata a decidere del proprio futuro raccontando del proprio essere morale, anche e soprattutto in relazione ai poveri e ai sofferenti della terra. Al loro diritto alla vita.
Sergio Valzania