Val la pena occuparsi del sesso degli angeli? L’argomento è fuori moda, ma in altri tempi furoreggiava: per gli gnostici ad esempio era quasi sicuro che gli angeli fossero maschi e questo aveva la sua importanza.
Oggi si preferisce discutere del sesso di treni a gallerie. Uno dei campioni di questa pratica è Marco Travaglio. Noi cultori di Lilli Gruber lo abbiamo sentito esibirsi decine di volte in uno dei suoi standar preferiti “Il TAV, non la TAV: è un treno, quindi maschile.” Come sempre il direttore del Fatto evidenzia una verità indiscutibile – in italiano il sostantivo treno è maschile – dalla quale discende che anche l’acrostico TAV lo debba essere di conseguenza. Aristotele sarebbe orgoglioso di un sillogismo così solido.
Allora come mai fino ad ora si è detto la TAV e non il TAV, come Travaglio suggerisce con insistenza? Un’allucinazione collettiva? Un errore di massa? O forse c’è un tarlo nel ragionamento, del genere di quello “Socrate è un uomo, io sono un uomo e quindi io sono Socrate”?
Il fatto è che TAV non significa, come sostiene il direttore, “treno ad alta velocità” – di quelli per fortuna ne abbiamo già parecchi compreso il nuovo Frecciarossa 1000 che sfiora i 300 chilometri l’ora sulla Roma-Torino – vuole invece dire “tratta ad alta velocità”, ossia quella per la cui realizzazione è necessario scavare la famosa galleria di cui tanto si discute.
Scrivo galleria, femminile, e non tunnel, maschile, per le ragioni che subito spiego e che Travaglio ben conosce.
Il confronto mediatico si fonda sulla gestione dell’immaginario, sulla impostazione del problema e sulla imposizione di essa all’avversario, prima che sulla soluzione del problema stesso. In altri termini la questione si risolve sulla base delle modalità con le quali viene posta. Domandare se la nostra Marina Militare deve mettere in salvo donne e bambini che stanno affogando nel Mediterraneo è diverso dal chiedere se le navi da guerra devono reprimere il commercio di esseri umani in corso da anni davanti alle nostre coste.
Impadronirsi di un problema riguardo al quale c’è disaccordo dandogli il nome è il primo passo per delinearne i contorni e determinarne la soluzione. Esempio classico di questo meccanismo fu in Italia la legge elettorale del 1953, che prevedeva un premio di maggioranza di un pallore virgineo rispetto a quelli con i quali si è votato nel terzo millennio, che fu affossata attraverso l’astuto espediente di battezzarla “legge truffa”.
Ebbene, la TAV al femminile è materna e accogliente, evocatrice della Grande Madre Mediterranea, difficile da proporre, o imporre, come un essere malvagio (maschile) che vuole profanare il sottosuolo di una valle ridente per liberare i mostri che sono stati imprigionati sotto terra da un incantesimo benigno. Fino a quando la TAV mantiene la dimensione femminile ogni attacco contro di lei riecheggia il tradimento, filiale o maritale che sia, e mostra in trasparenza l’ingiustizia di un abbandono, il rifiuto di una consanguineità. È la linea matriarcale a certificare la discendenza nelle società arcaiche.
Il mostro, il drago, il lupo di Cappuccetto Rosso, il demone, per farla breve il cattivo delle fiabe è un personaggio maschile. Le streghe, come quella di Hansel e Gretel, hanno trovato una via di riscatto, la loro femminilità le ha salvate. Qualcuno ricorda persino Davanti san Guido di Carducci, dove oltre i cipresseti troviamo l’eroina che racconta “Sette paia di scarpe ho consumate. Di tutto ferro per te ritrovare…” Troppi sacrifici sono stati imposti alle donne perché il femminile non goda di privilegio nell’immaginario.
Dunque per i no-tav il primo risultato da conseguire nella guerra contro la TAV è privarla del genere femminino e quindi positivo che la grammatica le ha regalato e precipitarla nell’inferno del maschilismo aggressivo, collocarla con un abuso linguistico nel campo dei violenti, perché se lì si trova è più facile accusarla di violenza.
Un po’ come chi sosteneva che gli angeli sono maschi per affermare di conseguenza che le donne non hanno l’anima.
Sergio Valzania