La crisi del PD

Che il PD sia in crisi ci sono pochi dubbi. Per risalire la china sarebbe più utile che il suo prossimo congresso cercasse le ragioni del disastro invece di occuparsi di nuovi segretari, ma tant’è, la politica ha i suoi strumenti e quelli deve usare.

Uno sguardo al marketing non farebbe male, magari di sfuggita. Uno dei principi di chi lavora sull’immagine è che bisogna avere ben chiaro chi sono i concorrenti, dato che è rispetto a loro che occorre posizionarsi. Per il PD sapere di essere diverso dalla Lega non è di alcuna utilità, mentre sarebbe opportuno studiare le differenze dal M5S e lavorare sulle aree di sovrapposizione. È lì che si vince o si perde.

Il successo del M5S a direzione Giuseppe Conte sta nella capacità che ha avuto il nuovo Presidente di posizionare il partito a sinistra dello schieramento parlamentare italiano e di sviluppare contemporaneamente una politica rigorosamente di destra. Quest’ultimo assunto è dimostrato dai pilasti della proposta M5S: reddito di cittadinanza e bonus edilizi. Il primo rinnega qualsiasi visione laburista o sindacale per puntare sulla garanzia di un reddito minimo ai più poveri escludendoli di fatto dal mercato del lavoro. Rinuncia infatti a qualunque meccanismo attivo di inserimento. Per contro la grande manovra dei bonus, seppure ha rilanciato l’edilizia italiana, non lo ha fatto keynesianamente con lavori pubblici pure necessari in ambito di trasporti, tutela del territorio o manutenzione del patrimonio scolastico, ma garantendo il maggior trasferimento di ricchezza verso i ceti più agiati che si sia mai verificato nel nostro paese.

Com’è possibile che questo genere di provvedimenti, maturati in alleanza con le Lega, siano qualificati come di sinistra, o che sia considerato di sinistra chi li ha proposti, imposti e oggi li difende? La risposta è facile: è stato il PD stesso a certificare questa condizione, associandosi al M5S pur di tornare qualche mese al governo, foss’anche in posizione subalterna.

Il nodo della definizione di sinistra in Italia va sciolto. Separando il destino politico del PD da quello del M5S oppure accettando il ruolo di partner minoritario di un’alleanza alla quale il PD contribuisce con l’apporto dell’elettorato agiato. Quello che vota nei collegi centrali delle grandi città. Sempre che Carlo Calenda glielo consenta.

Sergio Valzania