Nel libro «I confini della storia» Sergio Valzania intervista Franco Cardini di Gabriele Nicolò
Intervistato e intervistatore si conoscono da circa mezzo secolo. Hanno viaggiato insieme, hanno realizzato programma televisivi e radiofonici e scritto alcuni testi di storia moderna e contemporanea. Eppure nel lungo e stimolante colloquio che dà vita al libro I confini della storia (Bari, Editori Laterza, 2025, pagine 197, euro 15) i due storici, Franco Cardini, l’intervistato, e Sergio Valzania, l’intervistatore, si danno del lei: si è inteso così mantenere, spiegano, il formato classico di questo genere di occasioni. Tale formalità non inibisce certo la profondità di analisi di una riflessione che, dall’educato “lei”, attinge una garbata eleganza.
I temi principali dell’intervista investono la ricerca storica, con particolare riguardo al medioevo. Gli interlocutori privilegiano l’orientalismo, partendo dalle crociate per giungere alla «bruciante attualità» dell’attacco palestinese del 7 ottobre e della risposta israeliana a Gaza.
Cardini rileva che nelle storia c’è «un elemento ludico» che a volte viene frainteso dai soggetti che lo mettono in atto, convinti di fare «una cosa serissima»
Un pregio del volume consiste nell’assumere un deciso tratto meditativo, cui si lega un forte accento filosofico, nel momento in cui si parla di storia e degli avvenimenti storici. Sollecitato sul «revisionismo », Cardini afferma che esso è un lemma appartenente al lessico della storia dei trattati e della diplomazia, «passato per una serie di banali malintesi al linguaggio della Terza Internazionale e malamente approdato infine a una critica equivocamente manovrata della Shoah, per indicare quelle che sono spesso operazioni pseudoscientifiche tese a minimizzare se non a contestare alle radici quella tragedia (e in quest’ultimo caso siamo al vero e proprio “negazionismo”, irresponsabile e criminale), ma tese anche, secondo qualcuno, a impedire un approfondimento critico degli studi su di essa, che in sé sono legittimi e sacrosanti». Di conseguenza, contro lo «starnazzare» di quanti gridano al sacrilegio ogni volta che un dubbio viene sollevato o che il consuntivo finale delle vittime di «un certo episodio concentrazionario» viene rivisto, è opportuno «non solo rivendicare il diritto alla verifica di qualunque “verità” proposta dogmaticamente come tale, bensì anche «pretendere» che tale verifica sia sistematica e disponga «in bell’ordine» e «in chiara luce» le ragioni, gli oggetti e gli strumenti d qualunque conclusione dichiarata definitiva.
Le domande di Sergio Valzania aprono una riflessione sulla ricerca storica, investendo temi che vanno dalle crociate fino alla «bruciante attualità»
Rileva Valzania che negli ultimi tempi in molti hanno sostenuto che la storia sia un genere letterario come un altro e che dunque sarebbe un modo per «intrattenere il pubblico». Del resto, osserva, Plutarco ha scritto le Vite parallele p erché la gente si divertisse a leggerle. Certamente, dichiara Cardini, nella storia c’è «un elemento ludico» che, a volte, viene frainteso dai soggetti che lo mettono in atto, i quali «sono invece convinti di fare una cosa serissima». Ci sono studiosi, come Jacques Le Goff e Umberto Eco, che sono stati sempre convinti che la storia fosse anche un gioco. Come gli scacchi, un gioco da tavolo. Però bisogna tener ben presente che il gioco è una cosa seria, come si sottolinea, per esempio, nel celebre Homo ludens di Johan Huizinga. «Quando sei intento a giocare — ricorda Cardini — ci sono delle regole che devi rispettare, c’è un avversario e c’è un super-io che ti impone di non barare al gioco». Una precisa istanza etica è sottesa alla dimensione ludica.
Gli interlocutori si soffermano poi sulla nozione di storia come memoria collettiva. Le comunità esistono in quanto hanno una storia. Dunque, se non c’è storia, non ci sono comunità? chiede Valzania. «Senza dubbio» risponde Cardini, che però subito aggiunge che siccome la storia è la massa delle cose che sono successe, per gestirla occorre porre in atto drastiche selezioni. In questi contesti puntualmente emerge il concetto di storia come magistra vitae. Tuttavia, evidenzia Cardini, «sappiamo che si tratta di una magistra vitae che insegna le cose che le sono state insegnate, cose che dobbiamo sapere, altre che non sapremo mai, altre ancora che, tutto sommato, è quasi inutile sapere, e cose che è quasi meglio non sapere perché questo, attraverso l’ignoranza, solleva la nostra coscienza da quello che è accaduto in passato e che sarebbe insopportabile se lo sapessimo ».
A sua volta Valzania, nell’ambito di una domanda che contiene già in sé un’illuminante riflessione e un’esaustiva risposta, dichiara che «la storia ci manda per il mondo scalzi e ignudi, ma nello stesso tempo ci fornisce un’identità». Di questi tempi la questione dell’identità viene riproposta costantemente, e si tratta, rileva l’intervistatore, di un’aporia, perché l’identità rappresenta la nostra modalità di essere. «Se non abbiamo un’identità — afferma Valzania — non esistiamo, ma proprio le diverse identità collettive che si sono costruite tendono sempre più a divenire conflittuali. Confliggono le identità perché confliggono le storie. Lo studio della storia porta alla costruzione di identità rigide che, a loro volta, inducono conflitti».
L’OSSERVATORE ROMANO, pagina 10
lunedì 26 febbraio 2025