Non è tutta colpa di Di Maio, e forse nemmeno di Zingaretti. È la situazione che non sta in piedi, la campana suona fessa perché è crepata e non ci si può far niente. Il collante del Conte 2 è rappresentato dal desiderio di mille parlamentari di non tornarsene a casa, di continuare nell’esperienza gratificante che per molti di loro non ha speranze di perpetuarsi nella prossima legislatura. Fino a qualche settimana fa, per i renziani in genere anche essere ricandidati appariva difficile e la nascita di Italia Viva, inchiodato in zona 5/6 per cento non sembra essere la soluzione. Quelli del M5S hanno da scavalcare due barriere per ritornare a Palazzo Madama e a Montecitorio: quella del crollo elettorale del movimento e il limite di due mandati imposto dal regolamento interno. E se delle regole si possono sempre riscrivere, all’emorragia di voti è difficile porre rimedio.
Anche se il collante politico è scarso, si potrebbe pensare a una situazione ottimale, che mette Conte in una botte di ferro e lo proietta verso un triennio di bassa efficacia governativa, ma di forte tenuta nelle votazioni in aula, in quelle nelle quali viene chiesta la fiducia in particolare, stante la minaccia mattarelliana di mandare tutti a casa davvero, questa volta, se il governa cade di nuovo. Il traguardo da conseguire sarebbe raggiunto tra diciannove mesi, nell’agosto del 2021, quando inizierà il semestre bianco e diventerà sicuro che a eleggere il prossimo Presidente della Repubblica sarà il Parlamento oggi in carica. Una navigazione lunga, dunque, che a ben vedere si presenta molto difficile, se non addirittura proibitiva.
Come diviene sempre più evidente la realizzazione di questo progetto si va facendo sempre meno probabile. Scilla e Cariddi, due massi erratici politico istituzionali, si stringono minacciosi su una maggioranza che non dimostra né la compattezza né la coesione necessarie per superare prove impegnative.
Il PD appare sempre meno disposto a comportarsi da disponibile sostituto della Lega nella partnership con M5S, come ha fatto finora accettando la presidenza del consiglio di Conte, la presenza al governo di Di Maio e il voto immediato per la riduzione del numero dei parlamentari, senza esigere niente di identitario in contraccambio, ossia lasciando in vigore il reddito di cittadinanza e quota 100, ma soprattutto accettando il mantenimento dei due decreti sicurezza imposti da Salvini l’anno scorso, con la loro carica devastante nei confronti di immigrati già presenti in Italia ai quali è stato negato anche il poco sostegno prima garantito.
Lo sfogo bolognese di Zingaretti a proposito di ius culturae e di rimessa in discussione dei decreti salviniani ha avuto come tutta risposta da Di Maio la richiesta dell’impegno del PD all’approvazione del progetto grillino di abolizione della prescrizione, non andato in porto col precedente governo perché giudicato troppo di destra persino dagli esperti giuridici della Lega, senatrice Bongiorno in testa.
In questo contesto di contrapposizione politica e allontanamento programmatico, bocciato il progetto di un nuovo contratto di governo che vestirebbe ancor di più il PD dei panni indossati dalla Lega fino ad agosto, la sopravvivenza del governo verrebbe garantita dalla paralisi normativa, evitando votazioni di fiducia, e dalla paura del tutti a casa conseguente allo scioglimento delle camere. Ma bastano venti senatori a far cadere il Conte Due e quelli iscritti al gruppo del M5S sono 105, quasi tutti sicuri di non essere rieletti e parecchi dichiaratamente vicini alla Lega e personalmente prossimi a Salvini. Sulla base delle proiezioni elettorali, il segretario leghista dispone sulla carta di un numero di seggi in Parlamento ben superiore a quelli attuali. Non ha problemi nel garantire la rielezione ai propri deputati e senatori e potrebbe assicurarla ai venti che uscissero dal M5S per votare contro il governo e farlo cadere. Molti stanno compilando elenchi di possibili nomi e alcuni giurano che sia già difficile farsi accettare nel numero, dato che la posizione risulta molto richiesta. In questa microarea politica una positiva prospettiva elettorale di mantenimento del seggio viene garantita, e non esclusa, dal provocare la caduta del governo.
Ma non è questa la stagione delle crisi. Bisogna approvare la legge di bilancio per il 2020, che comporterà qualche sacrificio e non aumenterà la popolarità dei suoi estensori. Salvini può attendere paziente l’anno nuovo per sferrare il suo attacco, preparandolo con cura maggiore del precedente. In Emilia-Romagna e Calabria la maggioranza di governo rischia molto e corre il pericolo di non essere capace di sopportarne il risultato, se risulterà troppo negativo.
Nel frattempo Zingaretti e i suoi si chiedono se il prezzo dell’accordo con il M5S, la cui prospettiva elettorale alle politiche si fa sempre più complessa, non stia diventando eccessivo.
Sergio Valzania