Povere bestie

Addirittura due ministri, quello della Cultura Alberto Bonisoli e quello dell’Ambiente Sergio Costa, stanno lavorando in tandem per privarle degli ultimi posti di lavoro decenti, professionalizzanti, su cui potevano contare. Se il progetto passa, e ci sono pochi dubbi in merito data l’autorevolezza politica di chi se ne occupa, oltre ai parassiti resteranno in circolazione solo instupiditi animali da compagnia e i cani antidroga cari a Salvini.

Sulla sfondo gli allevamenti da carne e da latte, insieme a qualche mucca privilegiata che con un po’ di fortuna trascorrerà una vita di noia aggiogata a una mangiatoia con la compagnia di una macchina che la munge con regolarità cronometrica. Forse qualche gregge di pecore troverà modo di sistemarsi grazie a un ufficio del turismo che ne finanzierà l’impiego come elemento utile a rendere pittoresco il paesaggio.

Con l’uscita degli animali dal circo si chiude un’epoca ed è giusto che a occuparsi della questione sia il ministro della Cultura, che in un paese all’avanguardia come il nostro non ha evidentemente impegni più pressanti a rovinargli le giornate. La storia dell’umanità non è, come alcuni credono, la storia degli uomini e delle donne da soli. Il lungo viaggio che ci ha condotto dalle caverne ai grattacieli, è stato compiuto in compagnia degli animali. La loro domesticazione va considrata una delle svolte decisive di questo percorso, come ricorda Thomas Mann in alcune pagine memorabili delle Storie Di Giacobbe. Da quel momento agli umani è toccata la parte della mente, mentre quella del braccio è andata agli animali. La loro forza lavoro ha permesso le bonifiche, i viaggi, le scoperte geografiche, le costruzioni architettoniche.

Bonisoli ha certo in mente Brunelleschi che inventa l’ingranaggio per portare in alto i materiali necessari alla costruzione della cupola del Duomo di Firenze facendo girare sempre nella stessa direzione i buoi che azionavano l’elevatore quando vuole scacciare i cavalli che girano in tondo sulla pista del circo.

Fino a qualche decennio orsono uomini, donne, bambini e animali vivevano in una simbiosi che il museo di Macerata, capitale della cultura, ci ricorda, ammonendoci di una prossimità da non rimuovere irriflessivamente, dominati dal sentimentalismo, invece che accogliere con una sensibilità matura e responsabile, come se volessimo rimuovere un passato che ci imbarazza. Forse prima di accanirsi contro delle povere tigri indifese che si guadagnano onestamente la vita sarebbe opportuno domandarsi quante tigri esistono al mondo, dove sono nate, come vivono. Quanti anni dura la vita media di una tigre brada, se pur ce ne sono, in un bioparco o in un circo.

Vale persino la pena riflettere sulla bipolarità natura-cultura, dove Costa potrebbe suggerire al collega che non si tratta di un’opposizione assoluta, e Bonisoli subito aggiungerebbe che sa bene come tutto sia cultura. Non solo l’osservatore condiziona l’osservato, avviene persino il contrario. Gli animali non sono i nostri schiavi, né dei giocattoli da guardare da lontano, dopo averli rinchiusi in ghetti di forma particolare. La natura non è l’immobilismo, l’uomo e la donna non hanno il privilegio della proprietà assoluta sulla civiltà che accompagnati da asini, muli, cammelli, buoi, cavalli, cani, scimmie, elefanti, falconi e persino felini  gallinacei hanno creato. La medicina non è privilegio dell’umanità, né si ha il diritto di respingere in angoli residuali del mondo quanti ci hanno accompagnato nella conquista di tutto il resto.

Escludere gli animali dai posti di lavoro nell’ambito dello spettacolo significa privarli dell’unico sottile spiraglio che ancora resta loro per uscire dalla marginalità assoluta delle riserve, dei parchi naturali, e trovare un posto nel mondo degli uomini e delle donne. Per sfuggire al destino che Philip Dick immagina li aspetti in Blade Runner, o meglio nel racconto che ha ispirato il film, nel quale gli umani si contendono gli ultimi animali da compagnia, per scoprire che si tratta di robot, inanimati, che peraltro si stanno affacciando al mercato dei pets, con il pregio di sporcare meno.

E infine cosa fare degli ultimi tristi esemplari di lavoratori animali del circo? Sopprimerli, sterilizzarli, o liberarli nella foresta? Incapaci di cacciare, terrorizzati da un ambiente ostile, intristiti dalla mancanza del conforto del pubblico le povere bestie soccomberebbero in pochi giorni.

Anche noi giornalisti, intellettuali, saggisti, opinionisti e ministri, ricondotti alla stato di natura e lasciati nudi nella savana avremmo qualche problema a cavarcela.

Sergio Valzania